ODE ALLA GONNA
ODE ALLA GONNA
di Giangi Giordano
MAGGIO 2024 - TALKS
“Non mi sono avvicinato alla gonna pensando che il mio genere fosse fluido. Ed è una cosa che non penso neanche adesso. Così come non è stata la fluidità a farmi avvicinare ai tacchi che porto, ai gioielli, al trucco che utilizzo, a tutto quello che tradizionalmente appartiene ad una dimensione femminile.”
Giangi Giordano
Consulente per gli uffici stile e insegnante di sociologia della moda allo IED, Giangi Giordano appartiene alla città di Milano (la mamma è meneghina e il papà di Amalfi). Lavora con le immagini, con le parole e con gli abiti: un continuo intersecarsi tra le due professioni perché crea reference di sfilate e concept per immaginare nuove visioni. Entriamo adesso nel suo mondo.
L’essere uomo di Giangi Giordano non corrisponde affatto alla visione di genere stereotipata che conosciamo. Con il suo acume sottile e un linguaggio attento e seducente, ci racconta di come ogni scelta di stile sia per lui uno statement e uno strumento di comunicazione forte e chiaro.
Inizia con una confessione:
«Il mio aspetto mi ha aiutato moltissimo. Lo dico senza nessuna ipocrisia. Tanto quanto mi ha aiutato la mia formazione e il percorso personale, naturalmente. Non è una cosa che io ho usato come arma, anteponendola alla mia preparazione culturale, ma lo devo dire, il potere della seduzione, non intesa sessualmente, ma come dimensione personale e immaginifica, è uno dei poteri più forti.»
È per questo che hai scelto di avere nel tuo guardaroba un elemento di stile come la gonna? Trovi che sia un oggetto seducente?
«La gonna è un oggetto a me molto caro. L’ho scelto prima di tutto perché mi piace. È un oggetto che ha cambiato nel tempo moltissimi significati : esistono tantissime tipologie di gonne, modulabili, lisce, complesse, possono essere minime o massimaliste. È un oggetto molto affascinante da questo punto di vista.»
Chiacchierando, ci addentriamo improvvisamente nel passato. E ci rendiamo conto che – come la femminilità si è evoluta a seconda dei cambiamenti sociali – così ha fatto la gonna, che, con le sue tipologie e lunghezze, può essere una chiave di lettura utile a studiare i capovolgimenti delle varie epoche. Dalla crinolina alla minigonna.
Quando ti sei avvicinato alla gonna? C’è un episodio che ti ha fatto dire: da oggi la indosserò?
«No, non c’è nessun colpo di scena a livello narrativo. Nessuna epifania. Ma mi ricordo la prima volta che l’ho indossata. Era una gonna di panno grigia a pieghe di mia nonna, mi stava anche grande. Ho sempre rubato e provato moltissimi oggetti di mia nonna e mia madre, che sono sempre state grandi collezioniste. »
E aggiunge:
«Ho iniziato quando ero ragazzino, semplicemente perché mi piaceva. È un oggetto di libera espressione per me. Su un corpo come il mio funziona e non risulta forzata. Non è un oggetto di travestimento. Ho sempre vissuto liberamente il mio corpo e la sua espressività.»
Mi fa notare come di questi tempi si parli spesso di nuovi modi di interpretare le identità e di come spesso si sia travisato il ruolo che certi oggetti dovrebbero avere. «Deve essere il soggetto a padroneggiare l’oggetto e non il contrario. Per esempio, pensando a tutto il tema del genere, la gonna è diventata la caricatura, oggi, di tutti i generi fluidi, generi ibridi. Che esistono, e questo è sacrosanto, ma l’identità non esiste in virtù di quello che indossi, ma di ciò che tu sei.»
E specifica: «Non mi sono avvicinato alla gonna pensando che il mio genere fosse fluido. Ed è una cosa che non penso neanche adesso. Così come non è stata la fluidità a farmi avvicinare ai tacchi che porto, ai gioielli, al trucco che utilizzo, a tutto quello che tradizionalmente appartiene ad una dimensione femminile.»
Quando si sceglie di raccontare se stessi attraverso oggetti non convenzionali, si crea un sistema valoriale diverso da quello canonico, ma gli oggetti sono solo uno strumento espressivo.
«Io veicolo il messaggio di una mascolinità anomala e risulto essere un soggetto con delle ambiguità, che possono essere fascinose, seducenti, come dicevo prima, oppure possono essere anche respingenti.»
La gonna su un corpo da uomo scandalizza?
«Sì.»
Cos’è per te la borghesia?
«La borghesia è quello da cui vengo, è una cosa che va capita e va presa poco sul serio. Serve, ma non serve.»
Esiste?
«Esiste ancora, soprattutto la mentalità borghese, che è appannaggio anche di chi borghese non è. A me della borghesia piace quello che si vede, ma non quello che si pensa.»
Ma questo fa parte del gioco, e a Giangi non è mai interessato mettere d’accordo tutti. Anzi. Eppure è stato educato nel rigore, nella maniera, nell’etiquette. Rigore e regole che non smette di onorare, amare e allo stesso tempo dissacrare, alla Buñuel, alla Miuccia Prada.
«Il mondo da cui provengo è un mondo alto borghese, dove esistono codici ben definiti da rispettare. Parte della mia famiglia è di ramo aristocratico, un ambiente in cui vige lo status di non ostentazione. È tutto un mondo di grigi, di beige. È tutto ciò che amo ma che prendo anche un po’ in giro. È un immaginario fatto di tailleur, di belle giacchine, di longuette a pieghe. Le ho sempre viste intorno a me, quindi mi sono detto: perché non posso farlo anche io? E da quel momento indossare la gonna ha assunto per me anche una valenza ironica. Non so se l’ho fatto con consapevolezza, ma il rigore mi piace se posso sporcarlo. Mi piace far spuntare dalle gonne sottovesti di seta rosa o abbinare scarpe provocanti o gioielli kitsch di plastica. Credo fortemente nelle cose sbagliate.»
Eh sì, l’errore, quello che si insidia quando meno te lo aspetti e rompe le righe. Come Giangi, che ama disattendere le aspettative. Me lo aspettavo in gonna e tacchi, invece indossava una vecchia giacchetta di Miu Miu verde militare, un cardigan di cachemire ocra di Pupi Solari (eredità della nonna), pantaloni da lavoro color corda Anni ‘50 e ballerine marroni Anni ‘80. Ma che gli dici? Stava da Dio.
di Alessandra Busacca
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