
Si è liberato un posto
SI È LIBERATO UN POSTO
GIUGNO 2025 - TATTO

È l’era della vittima. Il protagonismo – specie sui social – ora passa per la qualificazione di “poverino!”. Il banco che vince sempre. Dall’invidia delle vite vanziniane – gli influencer prima maniera – alla pretesa di empatia, vittime si può essere di qualsiasi cosa: dell’infanzia infelice ma pure di quella troppo felice, vittima di un narcisista, vittima del fatto che è una società della performance, vittima della sindrome dell’impostore.
Quando tutto manca: vittima delle circostanze.
Intanto come siamo diventati una società così afflitta? E come il “farcela” si è lentamente trasformato nel “farcela sui social” – anche solo per farsi mettere un like di condivisione del dolore? Filmarsi per il pubblico in lacrime pare una cosa normale? Soffrire ed esibirsi sono compatibili? Non credo, è tutto mercato. Quando manca il talento, l’applauso può essere di pena. E sul “compatiscimi” – si nota ultimamente – vengono costruite carriere anche molto monetizzate.
Fallimento-trauma-vittima. Tutto è diventato percorso per uscire da un fallimento. In America: il journey. Il percorso della psicoterapia, il percorso della consapevolezza, il percorso della guarigione, il percorso per passare da un crollo all’accettazione. Ogni tanto mi chiedo ma dov’è che andiamo che stiamo sempre qui fermi sul divano coi telefoni in mano?
Byung-Chul Han, ne “La società della stanchezza”, ha scritto che in nessuna epoca si è attribuito maggior valore agli attivi, cioè ai senza riposo. È dunque una delle necessarie correzioni che si devono apportare al carattere dell’umanità quella di rafforzare in larga misura l’elemento contemplativo.
Già non vale più. Non siamo stanchi e la nostra non è iperattività. È contemplazione nervrotizzata. Ancora peggio.
di Ester Viola
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