LAVORARE SOTTO-TRACCIA

OTTOBRE 2025 - GUSTO

@happy_aiccidents - from the serie 'Birthday Cake'

La gastronomia è l’unica struttura culturale/naturale che rappresenta l’uomo nella sua essenza e nella sua totalità. L’uomo come bisogno e l’uomo come desiderio. Né la musica né il teatro né la letteratura né il cinema. L’uomo deve nutrirsi per sopravvivere e, nel momento in cui soddisfa il deve, può scegliere di nutrirsi in una determinata maniera. La gastronomia è necessità: ogni giorno, per due ore, ognuno di noi deve mangiare. Ma è anche ossessione, soprattutto per chi non ha cibo a disposizione. È divertimento per l’edonista, pensiero per il critico, mestiere per il cuoco, rinuncia, pubblicità, profumo della cucina e il ricordo della nonna.

La ricerca gastronomica, una volta espletata la nostra necessità di ingerire proteine, carboidrati, vitamine e grassi, si sposta inevitabilmente verso il piacere. E lì il cibo diventa possibilità, sfida, sapere, conoscenza, lusso ma soprattutto desiderio.

La gastronomia è l'unica struttura culturale/naturale che rappresenta l'uomo
La gastronomia è l'unica struttura culturale/naturale che rappresenta l'uomo

Il passaggio critico fondamentale di emancipazione culturale dal già dato e dal già visto è il viaggio. La domanda cruciale diventa: quanti chilometri sono disposto a fare per andare a mangiare? Dal bar sotto casa al più grande sushi master di Tokyo, tutte le possibilità si riducono alla soddisfazione di un’aspettativa.

Viaggiando e mangiando sempre di più, il cervello inizia a frammentare il mondo, a organizzare le ansie, le aspettative, i giudizi e le priorità in base a quello che già conosce. Prefigurarsi un’esperienza culinaria diventa forse l’unico modo a disposizione della critica gastronomica per differenziarsi dallo “sbafatore improvvisato”, dal “commercialista gourmet” e da quegli 8 miliardi di persone che ogni giorno affrontano l’atto del mangiare.

Questo processo di riflessione, tuttavia, non è per tutti. La maggior parte delle persone si accontenta del “piacevole”, cercando la stessa esperienza ogni volta: lo stesso piatto, la stessa emozione, i medesimi parametri. Ecco che in ogni tipo di ristorazione – dal fine dining alla trattoria fino al cibo di strada – le immagini, i sapori e le forme sono diventati simulacri che attraggono una clientela che non vuole essere delusa. Così, il conformismo del riconoscimento diventa una delle regole principali del successo popolare.

In tutte le tipologie di ristorazione

Nel Fast Food abbiamo colori accesi, sensazione di grasso e godurioso e memoria del gusto legata solitamente ad una forma di divieto. Nella Trattoria Classica, tanti piatti del giorno recitati a voce almeno quanti quelli presenti sul menù, vino della casa, servizio spiccio ma confidenziale, clientela coniugata post barricate e giovani primitivisti, menù del pranzo, glutammato, sale e zucchero. Nella Trattoria Moderna, vegetali di piccoli produttori, materie prime di piccoli produttori, storytelling su piccoli produttori, carta dei vini con piccoli produttori pazzi dei Colli Piacentini da 500 bottiglie l’anno, interiora ovunque, clientela giovane (25/45 anni) acculturata, tu come allocutivo di confidenza. Nel Ristorante Borghese, gestualità monocorde e anacronistica, impiattamenti con un continuo di sovrapposizioni verticali, lei come allocutivo di cortesia, lunghe cotture, frutti di mare, spaghetti, clientela anziana abitudinaria, buono e comfort come unici dei. Nel Ristorante di fine dining classico, acqua versata, amuse-bouche, piccola pasticceria, coccole, lei come allocutivo di noia, materie prime di lusso, impiattamenti estetizzanti, clientela conservatrice azzimata e yuppie alla ricerca del riconoscimento sociale, piatti-ricordo dello chef e della sua infanzia, tecniche passatiste. Nel Ristorante di fine dining progressivo, cuochi in magliette girocollo blu in cotone organic e grembiule in tinta, cotture dirette, braci, fermentazioni, barbe, camerieri inginocchiati che cercano di psicanalizzarti, tu come allocutivo di vicinanza (pone il cliente nella stessa classe sociale, facendolo riflettere sul concetto di chi serve/chi è servito), clientela smart, yuccie, hipster benestanti, presenza anche di tavoli condivisi, materie prime povere, tecniche moderne e comprensione della tecnologia, solo menù degustazione e assenza della carta, racconti brevi, vini naturali, iperlocalizzazione.

Questo è lo stato dell’arte.

di Nicolò Scaglione