BRING BACK MANLY MEN

Gli eroi piangono, gli uomini no

MAGGIO 2024 - SGUARDI

Ph. Jordi Bello Tabbi - Event Horizon

"È estenuante cercare di essere abbastanza uomo per tutti."

Justin Baldoni

Quando accettai la mia omosessualità, pensavo di aver fatto i conti con l’aspettativa che la società avrebbe avuto nei miei confronti in quanto uomo: facendo sì parte della comunità maschile, ma di una minoranza che non si confaceva propriamente con l’ideale di uomo virile. Non che essere omosessuale sia sinonimo di femminilità, ma indubbiamente non rientra nella narrazione dell’uomo “tradizionale”, tanto cara a frange più conservatrici della politica italiana ed estera.

 

Eppure – quando Vogue USA pubblica la prima cover con un solo uomo, il cantante Harry Styles, in abiti tradizionalmente femminili nel dicembre 2020 – il commento, diventato virale, dell’attivista americana Candace Owens “Bring back manly men”, ha riaperto in me una ferita che credevo guarita. Come se ci fosse sempre qualcosa pronto a renderti “meno uomo” e qualcuno sempre pronto a fartelo notare. Quando si nasce biologicamente uomini, si viene catapultati inconsapevolmente all’interno di un gioco di sopravvivenza, in stile Hunger Games, all’interno del quale solo il più forte, il più coraggioso e astuto sarà socialmente accettato come un Uomo, con la U maiuscola. In questa lotta tribale alla supremazia non sono ammessi passi falsi e ripensamenti o cadute di nessun genere. Ma il problema, come in ogni guerra, sono i “vinti”. 

Ridefinire i codici di una nuova mascolinità Ridefinire i codici di una nuova mascolinità
Ridefinire i codici di una nuova mascolinità Ridefinire i codici di una nuova mascolinità

Durante delle ricerche sul tema, mi sono imbattuto in un video dell’attore e regista Justin Baldoni, che in un Ted Talk dal titolo “Why I’m done trying to be man enough” spiega come la mascolinità sia diventata una gabbia per gli uomini stessi che l’hanno “creata”, e la frustrazione che un uomo prova di fronte ad una comunità, la sua, che non è stata educata nell’accettare la debolezza, la paura e le insicurezze e, di conseguenza a parlarne apertamente.

 

«È estenuante cercare di essere abbastanza uomo per tutti, di continuo» dice l’attore – un uomo etero, padre, atletico e dall’aspetto piacente – «Ho finto di essere un uomo che non sono per tutta la mia vita, ho fatto finta di essere forte quando mi sentivo debole e di essere sicuro di me quando non lo ero».  A soffrirne, quindi, non sono solo le parti meno coinvolte della comunità, ma anche chi può esserne considerato un fiero rappresentante. 

 

Ma come mai essere un uomo è così estenuante? Perché il genere maschile si costringe a vivere tutt’oggi in questo “sentimentalismo” da trincea, che lo rende detenuto e carceriere al tempo stesso? Uno dei prodromi più calzanti mi viene dai ricordi del liceo, durante una lezione di letteratura greca: nell’ottavo libro dell’Odissea di Omero, Ulisse, eroe scaltro e solido moralmente quanto fisicamente, nell’udire il canto dell’aedo sulle sue gesta, piange, e nel farlo copre il suo viso con un manto, perché “si vergognava, di fronte ai Feaci, di versare lacrime sotto le ciglia”. 

 

I versi dei canti omerici sono pieni di eroi piangenti: Achille, Priamo, Ettore e Agamennone, tutti versavano lacrime e per i motivi più disparati, e nessuno si è mai vergognato di piangere e di mostrarlo apertamente. Ma Ulisse in quest’occasione è diverso, sentir parlare delle proprie azioni e sventure crea in lui una momentanea perdita di controllo della ragione e della corporeità, e, non essendo questo il modo di comportarsi di un uomo, se ne vergogna

 

Ph. Jordi Bello Tabbi - Event Horizon
Ph. Jordi Bello Tabbi - Event Horizon

L’appartenenza alla categoria, quindi, non ha più solo presupposti biologici, ma comportamentali, una scala di ideali e valori condivisa con l’intero genere. Essere uomo significa rifiutare tutto ciò che è femminile o visto come tale, mostrandosi forte, vigoroso, capace di tenere a bada gli istinti del corpo e della mente: un uomo non si cura delle frivolezze, ma piuttosto agisce, è un condottiero, un cavaliere e un eroe.

 

Nel tumulto del Ventunesimo secolo, la narrazione veicolata dai mass media sembra resistere alla scalfittura di stereotipi legati alla figura del “macho men”. Mentre il mondo si avventura alla scoperta dell’acqua su Marte o si impegna nella ricerca di nuovi modi per affrontare la crisi delle particelle di plastica, ci affidiamo ancora a figure maschili come gli invincibili supereroi del mondo Marvel o i burberi meccanici come Lip Gallagher in Shameless, che portano sulle proprie spalle il peso del mondo senza mai chiedere aiuto.

Addirittura, nel recente successo di “Baby Reindeer” su Netflix, il protagonista Donny finisce per cedere, almeno in parte, al fascino di una stalker violenta e problematica, poiché sembra capace di risvegliare in lui quelle caratteristiche virili che credeva sopite. 

Ph. Jordi Bello Tabbi - Event Horizon
Ph. Jordi Bello Tabbi - Event Horizon

Nonostante questo monopolio dell’immagine dell’uomo – dove “bigger is better” – la moda, specialmente negli ultimi anni, ha provato a restituire alla società una nuova rilettura della figura maschile, meno fumosa e virile. In particolare, grazie al lavoro di designer come Alessandro Michele e Pier Paolo piccioli, che hanno contribuito, con le loro creazioni e il casting delle sfilate, a ridefinire i codici di una nuova mascolinità, abbandonando la rigidità novecentesca e riscoprendone vulnerabilità e leggerezza. 

 

In un costante intrecciarsi di idee e simboli, emerge un panorama di voci contrastanti, amplificate soprattutto dai social media, che si ergono come sfida ai preconcetti radicati riguardo alla forza e alla virilità come unici attributi maschili. In questo dialogo incalzante, si delinea un terreno fertile per la riflessione e il cambiamento, in cui la diversità di prospettive apre la strada a una più autentica e inclusiva comprensione dell’essere uomo. Un lampante esempio di questa nuova ondata di cambiamento è Christian Shearhod, noto come Mr. S su TikTok, su cui racconta – ai suoi 1,3 milioni di follower – attraverso brevi e ironici video, il suo essere padre ed educatore, insegnando non solo al proprio figlio, ma a intere nuove generazioni di genitori, l’importanza di accettare e valorizzare ciò che ci rende autenticamente felici. Che si tratti di essere ascoltati o di indossare il rosa.

di Manuel Giovanale

Immagini tratte dal lavoro Event Horizon

Fotografia Jordi A. Bello Tabbi @jordibt

Styling Giuseppe Troncone, Sara Ingenito @gggiuseppeee__________ @saraingenito_

Modelli Alex Barbieri, Francesco Curatolo @sono_marea @tulipa.no