IL GRIDO DELLE DONNE È ALLA TATE

Women's in revolt

febbraio 2024 - Sguardi

“La rabbia come strumento di ribellione perché è l'opposto del silenzio e accettazione”

Parte da questa affermazione la mostra femminista aperta fino al 7 aprile 2024 alla Tate Britain.
Una mostra arrabbiata, forte, vera, ma anche gioiosa, in cui arte, politica e diritti sociali si intrecciano
. In scena le opere di cento artiste provenienti da città e comunità diverse e da collettivi che hanno invaso il Regno Unito tra gli anni ‘70 e ‘90 a partire dalla National Women’s Liberation Conference del 1970, l’iniziativa che ha riunito le attiviste nel Movimento di Liberazione delle Donne con l’obiettivo di sviluppare una prospettiva politica comune. 

L’intento di Linsey Young, che ha curato la retrospettiva, è rendere evidente al pubblico l’impatto che le idee radicali e di protesta di queste donne hanno avuto sulla società e sulla cultura contemporanea in Gran Bretagna. Una mostra disordinata, che rompe gli schemi nella forma, nel contenuto e nello spirito e che affronta temi centrali come il disarmo nucleare, la discriminazione razziale, i diritti di lesbiche, trans e gay, la maternità, il lavoro domestico e il sesso.

Una mostra disordinata, che rompe gli schemi nella forma, nel contenuto e nello spirito Una mostra disordinata, che rompe gli schemi nella forma, nel contenuto e nello spirito
Una mostra disordinata, che rompe gli schemi nella forma, nel contenuto e nello spirito Una mostra disordinata, che rompe gli schemi nella forma, nel contenuto e nello spirito

La mostra, organizzata secondo un percorso cronologico, tiene conto del contesto sociale e politico del tempo e si concentra sui lavori di artiste-attiviste che non sono mai arrivate al pubblico, mettendo in luce così il ruolo cruciale delle donne nella società inglese e nella lotta per l’uguaglianza. L’arte diventa grido di rabbia per denunciare diritti mancati, anche grazie all’emergere delle subculture punk e post-punk degli anni ‘80, che hanno proposto nuovi modelli di donna.

 

Dai dipinti pionieristici ai lavori più contemporanei, la mostra offre una prospettiva ampia e diversificata sulle esperienze femminili. L’oppressione si trasforma nelle più disparate forme di arte – fotografie, installazioni, documentari, tessuti e sculture – opere provocatorie portano avanti il messaggio di unità, e incoraggiano il pubblico a considerare il proprio ruolo nella promozione dell’uguaglianza di genere. Nell’esposizione trovano spazio anche opere d’arte create in ambienti domestici, in cui i corpi delle artiste stesse diventano spunto di riflessione su temi come la fertilità, riproduzione e identità. 

See Red Women’s Workshop, Protest, 1974
Red Me 1986 Uk Government Art Collection Artwork (c) Rita Keegan (c) Image Crown Copyright, Uk Government Art Collection

Alle opere visive si affiancano installazioni audio, video e testimonianze con le storie delle donne in rivolta – dai movimenti femministi del passato alle voci contemporanee – intrecciate in un racconto avvincente che spinge alla riflessione e invita all’azione.

 

Emblematica l’immagine di Gina Birch, che è diventata il manifesto della mostra, estratto dal video in cui la cantante delle Raincoats urla ininterrottamente per 3 minuti. Seguono opere sull’emancipazione dal lavoro domestico, con i lavori fotografici di Alexis Hunter e i manifesti del See Red Women’s Workshop, cui fanno eco The Hackney Flashers e Tina Keane, che riflettono sul presunto obbligo, per una donna, di avere figli.

Jill Westwood Potent- Famale c. 1983 (c) Jill Westwood

L’arte, ci dice Women’s in revolt!, attraverso la provocazione e la protesta, si fa portatrice di progresso, ma anche di educazione, ispirazione e riflessione. Una mostra complessa, che è un tributo alla potenza di donne ribelli, impetuose, anticonformiste, audaci, brillanti e  profondamente consapevoli del loro posto nel mondo.

 

di Francesca Russano