NEL REGNO DEI BOOMER
NEL REGNO DEI BOOMER
Il potere logora chi non ce l’ha, diceva quello. È ancora così?
OTTOBRE 2024 - SGUARDI
In Italia sembra che il potere cresca di pari passo con la profondità delle rughe e il numero dei capelli bianchi di chi lo detiene. In finanza e in politica, nell’accademia e nella pubblica amministrazione, passando per le aziende private e il mondo della cultura e dello spettacolo, la dilagante gerontocrazia sta, infatti, trasformando il Paese del boom economico nel regno dei boomer. Con l’età mediana più alta d’Europa (48,4 anni nel 2023) e un tasso di natalità ai minimi storici, siamo ormai la nazione più vecchia dell’Unione, seconda solo al Giappone nel contesto internazionale.
Sono del 1980, un anno che segna un simbolico spartiacque tra la Generazione X e la Y, quella dei Millennials, o “nativi digitali”, e, benché trovi queste etichette un po’ troppo generiche e riduttive, credo aiutino, almeno in parte, a comprendere lo scontro tra titani in corso.
Da un lato ci sono i figli del secondo dopoguerra, quei canuti e ricurvi vecchietti ingessati nei loro doppiopetti di alta sartoria che da decenni stabiliscono le sorti di una nazione sull’orlo del baratro. Dall’altro, invece, troviamo un gruppo affollatissimo ed eterogeneo che include le successive generazioni (X, Y, Z e Alpha), a vario titolo tacciate di eccessivo idealismo, scarsa concretezza e, perciò, considerate inadatte a rivestire ruoli di prim’ordine. Perché alla “vecchia guardia” non importa che tu abbia venti o quarant’anni: se per spirito di sacrificio, incoscienza o mancanza di coraggio hai scelto di vivere nel Paese del nepotismo e delle raccomandazioni, sarai molto probabilmente condannato a un eterno apprendistato, ovviamente sottopagato, con referenti di sessanta, settanta e ottant’anni che resteranno appollaiati sulle loro poltrone senza alcuna intenzione di mollare la presa. Sono proprio loro, del resto, ad averti illuso che con impegno e determinazione avresti anche tu ottenuto carriere sfavillanti e stipendi milionari, salvo poi opporsi a ogni cambiamento che possa minacciare i loro privilegi.
I consigli paternalistici e autoreferenziali dei rappresentanti della “old school” scatenano nei figli dell’incertezza e della precarietà una profonda indignazione. E quando i primi sminuiscono il loro impegno su temi caldi e particolarmente sentiti, come l’ecologia, l’inclusione sociale e le questioni di genere, vengono accusati di essere i principali responsabili della crisi che stiamo attraversando.
Un altro terreno di scontro particolarmente spinoso è il rapporto con la tecnologia, nei confronti della quale i boomer dimostrano quasi sempre una profonda diffidenza, se non una palese incapacità, generando moti di ilarità e, talvolta, anche di irritazione. Ma a tal riguardo sarebbe inutile spendere ulteriori parole, poiché la questione è stata già magistralmente affrontata, con la consueta brillante lucidità, dal disegnatore romano Zerocalcare in una famosa e imperdibile tavola del 2013.
Nella sua newsletter settimanale OK boomer, il giornalista Michele Serra invita, tuttavia, a chiedersi se questo pericoloso cortocircuito rispecchi effettivamente uno scontro generazionale oppure sia, in realtà, solo una sfumatura dell’eterna lotta di classe tra i soliti pochi, ricchissimi uomini bianchi, ormai avanti negli anni, e una stragrande maggioranza di indigenti, perlopiù giovani, sistematicamente esclusi dalle dinamiche di potere.
In effetti se, da un lato, l’allungamento delle aspettative di vita ha consentito che la cosiddetta “silverera” non rappresenti più il tabù di un tempo, dall’altro, nella società della performance e del mito dell’eterna fanciullezza, assistiamo sempre più al diffondersi dell’ageismo, che discrimina in base all’età chi, uscito dal processo produttivo, viene considerato un inutile fardello per la collettività, adatto solo a sfamare piccioni e a controllare cantieri. Secondo la Fondazione Longevitas, una persona su tre in Europa ha dichiarato di esserne stata vittima almeno una volta in termini di diritto alla salute, al lavoro o in altri ambiti della vita. La presenza di persone anziane nei media, inoltre, è estremamente marginale (1,5% negli USA, 8,5% in Germania) e circa il 12% dei tweet veicola bias di questo tipo. Il fenomeno ha radici culturali molto complesse, elevati costi sociali e per l’OMS è la terza causa di discriminazione al mondo.
Ritengo che scardinare gli ingranaggi arrugginiti dell’Ancien Régime sia indispensabile per consentire alle nuove generazioni di emergere e di occupare finalmente il proprio posto nel mondo, ma ciò non significa dover rinunciare agli insegnamenti di persone autorevoli e competenti che potrebbero continuare a condividere la propria esperienza in qualità di mentori e consiglieri. Perché, al di là di sterili polemiche e banali semplificazioni, l’unico antidoto per superare l’asfissiante immobilismo di questo Paese è una sana meritocrazia: trasversale, inclusiva e senza compromessi.
di Federica Araco
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