CAMBIARE IL MONDO, UNA RICETTA ALLA VOLTA

Scrivere di cibo: da Bree Van De Kamp a Fu Pei-mei

OTTOBRE 2024 - TASTE

La cucina è sempre stata un linguaggio universale, una lingua segreta che parla di chi siamo e di dove andiamo, attraverso sapori che raccontano storie e ingredienti che custodiscono memorie. È un linguaggio muto, fatto di gesti ripetuti e profumi che riempiono le case, un ponte invisibile che collega passato e presente, evocando nostalgie e sogni di chi ci ha preceduti.

Eppure, la cucina non vive solo nei sapori, ma anche nei nomi che ne hanno scritto la storia. Nomi che hanno saputo catturare in parole quell’alchimia di ingredienti e amore, trasformando il quotidiano in cultura. Immaginate di essere negli Stati Uniti, nel 1947, sfogliando distrattamente il New York Times, quando vi imbattete in una frase curiosa: “Allinizio, labbinamento del manzo con il formaggio e i pomodori può sembrare bizzarro, ma se si riflette un po’, si capisce che la combinazione è valida dal punto di vista gastronomico.” A scriverlo è Jane Nickerson, che ha diretto la redazione gastronomica del Times dal 1942 al 1957, che proprio in quellanno stava ufficialmente annunciando la nascita di un’icona: il cheeseburger. E così, quasi sottovoce, veniva sancita la creazione di uno dei simboli più potenti del modello capitalista americano, destinato a conquistare il mondo, un morso alla volta.

Quando pensiamo alle donne che hanno scritto di cucina, non possiamo non evocare limmagine di Bree Van De Kamp: la casalinga impeccabile di Desperate Housewives, perfettamente pettinata, con il giardino curato e una padronanza del focolare domestico che lha portata a pubblicare un libro di ricette di famiglia, convinta che la cucina sia la chiave per unesistenza appagata e senza sbavature. È un’immagine rassicurante, quasi patinata, dove ogni piatto non è solo cibo, ma il simbolo di un’armonia domestica apparentemente inossidabile.

 

Fuori dagli studi televisivi però la realtà è ben diversa e, al posto di Bree Van De Kamp, sono state ben altre le donne che hanno davvero fatto la storia. Per loro, scrivere di cucina non significava semplicemente raccogliere ricette, ma tracciare lidentità di unepoca. E infatti Jane Nickerson ha accompagnato i lettori del New York Times attraverso lausterità del razionamento bellico e la prosperità delleconomia, con centinaia di articoli che spaziavano dalle cronache culinarie alle recensioni di ristoranti, fino a ricette che risuonano ancora oggi. Il suo lavoro non si limitava a raccontare il cibo, ma si spingeva a documentare i cambiamenti sociali e culturali del suo tempo, facendo della cucina un linguaggio attraverso cui esplorare la storia e i valori della società.

In un mondo in cui il cibo rifletteva la vita quotidiana e le sue sfide, Nickerson non offriva solo istruzioni su come preparare un piatto, ma una finestra su un’America che evolveva, legando generazioni con gesti che, pur trasformandosi, conservavano sempre la propria essenza.

Parlando di donne che hanno scritto di cibo, è doveroso citare Julia Child, che, con la sua figura alta e slanciata, l’aria svagata e quel sorriso contagioso, è diventata nel tempo un’icona della cucina americana. Oggi indissociabile dall’interpretazione magistrale di Meryl Streep nel film Julie & Julia, Julia non è stata solo una cuoca straordinaria, ma una donna che ha davvero cambiato il modo in cui gli americani guardano alla cucina. Eppure, già prima di diventare la madrina della gastronomia francese in America, la Child era molto di più. Non molti sanno, infatti, che Julia ha prestato servizio nei servizi segreti durante la Seconda Guerra Mondiale. Troppo alta per arruolarsi nell’esercito femminile, fu reclutata dall’Office of Strategic Services, dove, inizialmente semplice dattilografa, arrivò presto a occuparsi di ricerche top-secret. Quando si trasferì in Francia, però, la sua vita prese una piega decisamente più saporita. E fu proprio lì che Julia divenne l’ambasciatrice del buon cibo francese negli Stati Uniti, grazie al suo libro Mastering the Art of French Cooking. Di lei si possono dire molte cose, ma non era di certo l’epitome della solita cuoca impeccabile: anzi, un aneddoto molto amato su di lei racconta di come, durante le sue trasmissioni televisive, fosse famosa per far cadere di tutto – dalle omelette ai polli arrosto – e di come, con grande nonchalance, sistemasse tutto senza battere ciglio. Julia non voleva nascondere nulla: ogni errore faceva parte del divertimento, perché cucinare non è mai un processo perfetto, ma un modo per imparare, ridere e sperimentare, conquistando, tra una battuta e una frittata mal riuscita, il cuore degli americani.

La cucina non è solo un rifugio per chi ama i sapori e gli ingredienti, ma a volte diventa una via di riscatto, una salvezza silenziosa e potente. La storia di Fu Pei-mei, classe 1931, ne è un perfetto esempio. Prima di diventare la "Julia Child della cucina cinese", Fu era una giovane moglie in lotta con un destino che sembrava scritto: badare alla casa, sfamare il marito e, ovviamente, cucinare.
La cucina non è solo un rifugio per chi ama i sapori e gli ingredienti, ma a volte diventa una via di riscatto, una salvezza silenziosa e potente. La storia di Fu Pei-mei, classe 1931, ne è un perfetto esempio. Prima di diventare la "Julia Child della cucina cinese", Fu era una giovane moglie in lotta con un destino che sembrava scritto: badare alla casa, sfamare il marito e, ovviamente, cucinare.

La cucina non è solo un rifugio per chi ama i sapori e gli ingredienti, ma a volte diventa una via di riscatto, una salvezza silenziosa e potente. La storia di Fu Pei-mei, classe 1931, ne è un perfetto esempio. Prima di diventare la “Julia Child della cucina cinese”, Fu era una giovane moglie in lotta con un destino che sembrava scritto: badare alla casa, sfamare il marito e, ovviamente, cucinare.

 

Uno dei primi piatti che cercò di preparare furono i jiaozi, ravioli cinesi ripieni di carne e verdure che il marito, nonostante l’impegno, sembrava non apprezzare. Quel disappunto accese una scintilla: non solo si perfezionò, ma trasformò quel disastro in una missione di vita. E così iniziò la sua corsa verso la gloria. Da autodidatta a pioniera della cucina taiwanese, Fu studiò senza sosta con i migliori chef, accumulando ricette che avrebbe poi condiviso con milioni di persone in tutto il mondo. Il suo programma televisivo, che andò in onda quarant’anni, e i suoi oltre 30 libri di cucina, hanno reso i piatti della tradizione cinese accessibili a tutte le famiglie, e non solo a chi poteva permettersi costosi ristoranti. Fu Pei-mei ha dimostrato che la cucina può essere un’arma di emancipazione, un modo per riscattare sé stessi. Da semplice casalinga, è diventata un’icona culinaria, capace di insegnare a generazioni di cuochi come ritrovare nelle loro pentole e padelle non solo i sapori perduti, ma anche la propria forza interiore.

C’è qualcosa di profondamente emozionante nel pensare alla cucina non solo come un luogo fisico, ma come uno spazio di trasformazione, di riscatto, di scoperta. Per molte donne la cucina è stata il mezzo attraverso cui hanno trovato una voce e, forse senza volerlo, un potere che ha attraversato confini e generazioni. Attraverso le loro ricette, queste donne hanno costruito mondi, regalando a milioni di persone l’accesso a culture lontane, a sapori dimenticati, a storie impresse tra le pagine di un libro o di un programma televisivo. In un’epoca in cui il loro ruolo sembrava confinato tra le mura domestiche, sono riuscite a far risuonare la propria voce in modo universale, diventando simboli di un’arte che non si limita a nutrire il corpo, ma anche l’anima.

In ogni gesto, in ogni piatto tramandato, c’è un filo invisibile che collega queste donne del passato al nostro presente. Hanno trasformato la cucina da rifugio in palcoscenico, lasciando dietro di sé non solo ricette, ma una traccia indelebile di coraggio, dedizione e passione. E anche oggi, ogni volta che apriamo un libro di cucina o accendiamo un fornello, è come se ritrovassimo un pezzo di loro, di quella grandezza delicata che ha cambiato il mondo, una ricetta alla volta.

di Manuel Giovanale