CORS(ETT)I E RICORSI STORICI

Tre film per dare voce alle donne

Febbraio 2024 - Sguardi

Vicky Krieps nel film di Marie Kreutzer Il corsetto dell'Imperatrice

“Un leone non perde il sonno per l’opinione di una pecora.”

Elisabetta Amalia Eugenia di Wittelsbach

A parlare è Sissi, la principessa Elisabetta d’Austria. Non nella trilogia del 1955, in cui era incarnata da Romy Schneider, ma nella versione, ben più cruda, firmata da Marie Kreutzer nel 2022. È con questa frase pungente che capiamo, sin dalle prime battute del film, il rapporto della principessa con il marito, reo d’averla relegata in un ruolo subalterno che la sovrana rifiuta con ostinazione.

Con il corsetto a fare da barricata, Con il corsetto a fare da barricata,
Con il corsetto a fare da barricata, Con il corsetto a fare da barricata,

Lasciamo le terre austriache e approdiamo in Inghilterra: è qui che, intorno al 1700, regna la regina Anna. La figura incarnata da Olivia Colman, diretta da Yorgos Lanthimos nel 2018, è quella di una donna volubile, dissoluta e totalmente disinteressata al suo compito di reggente. Ma assolutamente conscia della sua posizione apicale e decisa a farne sentire il peso in ogni situazione.

Ancora un altro stacco e giungiamo al 2006, con la Marie Antoniette di Sofia Coppola, una Kirsten Dunst in stato di grazia e Converse All-Star ai piedi, impegnata a sopravvivere alle dicerie di corte prima, e alla malevolenza del popolo poi, nella Francia burrascosa del 1770. Zuccherosa e inizialmente ingenua, la regina è l’emblema della più ostinata noncuranza dei nobili verso coloro che amministrano. E per questo farà una brutta fine.

 

Insomma, abbiamo una regina dolente e infelice alla soglia dei 40 anni, una sovrana di mezza età dispotica e che tiranneggia la corte, e una giovanissima delfina tritata nella ruota di un gioco più grande di lei: figure apparentemente legate da poco altro che non siano i nobili natali, ma chiamate a raffigurare – complici crinoline, corsetti decisamente poco metaforici, e accessori regali – il ruolo, subalterno e capriccioso, delle prime donne di corte.

 

Il discorso, pur fatto in anni e con stili profondamente diversi, sembra convergere su un unico punto: il racconto di come fossero queste donne, dei loro vizi e virtù, è sempre stato lasciato in mano agli uomini che ne hanno scritto la storia, tratteggiandone un ritratto ben poco sfaccettato. Un ritratto in cui il dissenso veniva celato, in cui il carattere era dato una volta per tutte, e in cui a queste donne non restava altro che incarnare la parte della seconda linea, pur essendo regine. Se dipinte come cattive, diventavano una volta per tutte la matrigna di Biancaneve. Se dipinte come buone, erano destinate a essere vittime prima del marito e poi di se stesse.

 

La presa di coscienza che le principesse delle fiabe sono ben poco reali, è, semmai ce ne fosse stato bisogno, totale. E qui il cinema si ritrova a rivestire un ruolo educativo che, a partire dalla Coppola, e per finire con Kreutzer, sfata completamente il mito delle spose felici, perché nobili, ricche e benvestite, per chiarire senza mezzi termini che la vita di queste donne era tutt’altro che da favola.

La domanda lecita da porsi è: era necessario? Passati, come abbiamo, da un pezzo i 6 anni, forse no. Ma offrire una contro-narrazione al mondo edulcorato della Disney è comunque un primo passo per riprendere in mano la storia. E trattarla da un altro punto di vista. Con il corsetto a fare da barricata, per una volta.

di Enrica Murru
Olivia Coleman ed Emma Stone ne La Favoria di Yorgos Lanthimos