CHIC E INTRAMONTABILE

Lo chic al cinema ha un nome e un cognome: Audrey Hepburn

Febbraio 2024 - Sguardi

Audrey Hepburn, "Breakfast at Tiffany's" 1961 - PictureLux / The Hollywood Archive / Alamy Foto Stock

“Audrey Hepburn, perché ha le ossa chic.”

Hubert de Givenchy

Erano gli anni Ottanta, e, durante un’intervista ad Hubert de Givenchy, gli domandai quale fosse a suo parere la donna più chic che avesse vestito. Data la sua clientela cosmopolita ed altolocata mi aspettavo la Baronne… la Princesse…. la Duchessse…. Mi rispose: «Audrey Hepburn, perché ha le ossa chic». A distanza di quarant’anni, volendo scrivere sulla creatura che può meglio rappresentare l’icona della moda nel cinema attribuisco, senza esitazioni, il titolo a lei.

E, prima di ripercorrere “i pezzi” che l’hanno resa tale, vediamo di chiarire i connotati di una donna chic.

La dote della donna chic sta nel dosaggio di quel che si mette addosso.

Fugge la tenuta firmata “all inclusive”, destabilizza il trend di stagione, guarda con insofferenza le poverine colte da crisi isterica perché non trovano il sandalino della stessa nuance della borsa. Se viaggia, se ne torna dalle Indie, dalle Thailandie, dai Marocchi con qualche bella collana meglio se antica, un paio di cinture artigianali, qualche pezzo di stoffa con il quale far copiare la blusa di Saint Laurent Anni ‘70 che è il suo cavallo di battaglia o i pantaloni di Armani di qualunque decennio che sono un classico del guardaroba chic. 



La dote della donna chic sta nel dosaggio di quel che si mette addosso La dote della donna chic sta nel dosaggio di quel che si mette addosso
La dote della donna chic sta nel dosaggio di quel che si mette addosso La dote della donna chic sta nel dosaggio di quel che si mette addosso

Altra connotazione della donna chic è crearsi la misura di ciò che indossa: se è alta e le regge il fisico predilige e sceglie il gigantismo. Enormi e voyant i gioielli, altissime le cinture, larghissime le bluse, lunghissime le sottane. Se non passa il metro e sessanta, la donna chic privilegia piccoli, antichi, preziosissimi gioielli, minuscoli top e, dalla vita in giù, una girandola di sottanine e pantaloni a sigaretta. Altro aspetto-spia dello chic è la naturale propensione a portare una cosa o qualcosa per tutta la vita, qualunque sia la moda. Così trovi la patita del “touch of white” alla quale non manca mai un collettino, una sciarpina, un fiore, una stringa della scarpa candidi di bucato. Ti trovi quella che, snobismo e chic estremi e supremi, nonostante il profluvio di lusinghieri par-dessous che inondano i negozi di “intimo”, porta soltanto le mutande “ascellari” di cotone bianco che si trovano sulle bancarelle. E, come camicia da notte, predilige la camicia del fidanzato o del marito, proprio come faceva Audrey in Colazione da Tiffany.

 

È del 2021 il documentario Audrey, more than an icon, che la regista Helena Coan le ha dedicato facendone un ritratto nel quale mette in luce, oltre al suo encomiabile impegno nel volontariato, soprattutto il suo essere icona di uno stile intramontabile che proviamo a sintetizzare.

Le gonne a vita alta, poco importa che siano a ruota o a palloncino, Audrey le sfoggia con la camicia o il cardigan annodati in vita e le ballerine negli anni Cinquanta, quando era la principessa Anna di Vacanze romane. I tailleur con la giacca che sottolinea la vita esile e la pencil skirt appena sotto il ginocchio. I cappotti preferibilmente due taglie in più, morbidi, lunghi, avvolgenti come vestaglie. I pantaloni, sempre sottili che lasciano la caviglia scoperta proprio come si portano anche oggi, purtroppo con le sneakers versus i suoi incantevoli mocassini! Perché il tacco una donna chic non sa assolutamente con cosa portarlo.

Audrey Hepburn "Vacanze Romane", 1953 - Alamy Foto Stock

Il nero, recentemente caduto in disgrazia dal momento che lo portano le “culone” perché “sfina”e purtroppo perché evoca costumi di donne negate alla vita da integralismi religiosi, Audrey lo ha portato al massimo del successo sia con il total black scelto per Cenerentola a Parigi, sia con quello che è diventato il manifesto della moda e soprattutto dello stile, ovvero “il tubino nero” firmato Givenchy per l’indimenticabile Holly Golightly di Colazione da Tiffany che lo “condiva” con guanti lunghi, collana di perle e immarcescibili occhiali scuri taglio cat eye. Semplicemente unica, meravigliosa e forse irripetibile.

Io nostalgica e pessimista? Può darsi. Ma difficile non esserlo in un secolo in cui, e siamo ad un quarto, né moda né cinema riescono a produrre miti, mode, icone.

di Adriana Mulassano