LA SCULTURA FEMMINISTA

Il flow creativo di Lynda Benglis

APRILE 2024 - SGUARDI

“Il lavoro di Lynda Benglis può essere interpretato come uno sforzo costante per catturare il movimento, un tentativo di congelare ed esprimere il flusso della vita.”

Anne Pontégnie

Tra tutte le forme d’arte quella che oggi ci sembra più lontana, ma ancora ci affascina, è la scultura.

Camminare nei giardini italiani e inglesi tra le statue classiche è come essere osservati da amici antichi. 

Ad Atene, il Museo Archeologico raccoglie corpi perfetti e plastici che danzano su sfondi rossi, sfilano acconciature morbide e raccolte, pepli arricciati, profili maschili perfetti che restano eterni nella classicità del marmo.

La femminista del design La femminista del design
La femminista del design La femminista del design

La scultura contemporanea la trovo grandiosa, tangibile, irriverente, maestosa, sperimentale. Fa pensare. E le domande che sorgono sono sempre la stesse. Come si plasma la materia? Come si offrono nuove prospettive? Come si veicolano i messaggi? Come si sfida, ispira e influenza?

 

Sculture en plein air che ricordano forme naturali e flussi liquidi reinterpretati. In Louisiana, da ragazza, l’artista conosceva tutti i corsi d’acqua grandi e piccoli e i laghi della sua città.

 

A Madrid, città che associo ai tramonti rosa di fine inverno e agli edifici con i tetti in ardesia che si sviluppano in orizzontale, ho scoperto Lynda Benglis.

Nel giardino Banca March, nel quartiere Salamanca, ho camminato sotto quattro gigantesche fontane in bronzo e poliuretano che sembrano onde materiche, mostri astratti o crostacei di materia.

Leggo brevemente dell’artista statunitense, che alla fine degli anni Sessanta ha rivoluzionato la scultura con astrazioni fluide realizzate in lattice o schiuma di poliuretano, in contrasto assoluto con la rigidità e la geometria dei suoi colleghi maschi. Nel 1970 la rivista «Life» la proclama «erede di Pollock», grazie ai «pours» che crea versando la gomma liquida direttamente sul pavimento. 

In una decade in cui – quella tra il 1969 e il 1979 – il movimento femminista di seconda ondata prendeva piede nella coscienza dell’opinione pubblica, non dobbiamo dimenticare il nome di una gallerista come Paula Cooper, che ha giocato un ruolo fondamentale per la promozione e la costruzione della carriera di Lynda Benglis. 

 

L’artista stessa ne è consapevole e scrive di lei nel 2018:

“People liked her and still do love her. She has the type of personality that’s firm; and she knows what she wants, and she doesn’t hesitate when she likes something. She commits to it. I found that true. I showed with her and got started with her, and I found that true of her since I’ve known her”. 

 

Questa affermazione di gratitudine è un chiaro esempio di come i rapporti tra donne, specialmente se artiste, possano funzionare in senso “femminista” sottolineando il sostegno l’un l’altra anziché mostrare astio o competizione. 

 

Paula Cooper incontrò Lynda Benglis alla Paula Johnson Gallery all’inizio degli anni Sessanta. Cinque anni dopo, Lynda divenne una delle prime artiste rappresentate dalla Paula Cooper Gallery. 

 

di Francesca Russano e Alessandra Busacca