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Episodi architettonici e urbanistici stravaganti
APRILE 2024 - SGUARDI
“La casa dovrebbe essere lo scrigno del tesoro del vivere.”
Le Corbusier
Una delle cose che mi piace di più fare in assoluto è fotografare case: facciate colorate, tetti spioventi, balconcini deliziosi, decorazioni floreali liberty, statue, finestre che riflettono la luce del sole.
Cammino sempre a naso in su in cerca di ispirazioni urbane degne di essere immortalate: palazzi milanesi gialli, case rosa dal gusto francese a Torino, villette vittoriane con le porte colorate a Londra e micro giardinetti, azulejos floreali a Lisbona, iconici motivi a righe e persiane verde bottiglia nei carruggi genovesi. Esplorare le città a piedi è scoprire la meraviglia dei giochi di luce; amo fotografare in estate quando la gente svuota le città, in quella che viene chiamata la golden hour, quando la luce è avvolgente e morbida.
Alla Maggiolina, come si dice a Milano, le case di quartiere sono a forma di igloo e di fungo, abitazioni stravaganti costruite nel 1946, estrose e a loro modo geniali, progettate dall’ingegnere Mario Cavallé che importò il modello abitativo e la relativa tecnica di realizzazione dagli Stati Uniti. L’intuizione del progetto, unico in un orizzonte di edilizia intensiva come quello della ricostruzione del dopoguerra, si può interpretare come critica all’architettura residenziale borghese, mai libera dalla ricerca di uno stile. Se ci pensiamo, il Villaggio dei Giornalisti di più di 70 anni fa rifletteva il valore dato all’informazione: appartamenti di design in piccoli complessi in linea con le capacità di spesa della nuova borghesia. Oggi, un’utopia. Se sbircio dalle finestre, usando l’immaginazione, vedo uomini ben vestiti con occhiali da vista spessi un po’ alla John Kennedy, macchine da scrivere e fumo di sigarette.
Il mio viaggio urbano continua a Marsiglia, alla Cité Radieuse, in una giornata di fine dicembre che porta con sé tutto il profumo e la luce del Mediterraneo. I palazzi di appartamenti popolari progettati dal celebre architetto francese Le Corbusier – costruiti fra il 1947 e il 1952 – erano pensati per essere esposti al sole sia a ovest sia a est, ecco il perché del nome. Una città raggiante e visionaria ideata per essere un piccolo quartiere, con negozi, sale comuni e una scuola al proprio interno, e con un sistema d’avanguardia ante-internet in cui tutti potevano comunicare con un interfono grazie al quale tutti i condomini potevano parlare fra di loro gratuitamente. L’architettura brutalista si sposa con la funzione sociale e un concetto di comunità felice. Molti inquilini sperimentarono innovazioni mai viste prima, come la cucina disegnata da Charlotte Perriand e aperta sul salotto, porte scorrevoli, armadi a muro, biblioteche per separare gli spazi. Le Corbusier aveva arredato le case pensando a ogni dettaglio per favorire il senso di comunità. Da fare invidia a moderni concetti di housing sociale.
E ancora, in Iran, l’architettura pesante tipica dei regimi della maggior parte degli edifici civili, viene alleggerita con murales che sembrano illustrazioni e diventano silenziosi veicoli d’espressione, in netto contrasto con la bellezza suprema dei palazzi tradizionali, in un tripudio estetico di dettagli fiorati e geometrici. Sull’isola di Hormuz, nel sud del Paese, il Majara Residence, progettato da ZAV Architects, è un complesso di residenze colorate, un manifesto politico e sociale nato per mostrare una reale alternativa politica ed economica all’unica attività redditizia dell’isola: il traffico di petrolio. Cupole di terra dai toni accesi che diventano simbolo di cambiamento e riscatto sociale in un paese in cui le autorità cercano di imporre uno stile anche sull’architettura.
Potrei continuare per ore questa peregrinazione nelle città e nella memoria che fonde forma, funzione e sentimento fra ricordi e fotografie custodite nelle scatole di latta.
di Francesca Russano
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