IL MONDO DENTRO UN’INQUADRATURA
IL MONDO DENTRO UN'INQUADRATURA
Gianni Versace e la moda: la parola a Mimmo Calopresti
Marzo 2024 - TALKS
“Versace era convinto di essere un grande artista, in questo stava la sua genialità”
«A me la moda interessa perché c’è questa rappresentazione altissima, che però poi nel quotidiano deve, per forza di cose, essere ridotta all’essenziale. Mi diverte il processo creativo che ne è alla base, e Versace è la perfetta personificazione di questa creatività onnivora, ritagliava giornali, comprava opere d’arte, si faceva ispirare da tutto.»
A parlare è Mimmo Calopresti, che abbiamo incontrato nella sala adibita a caffè di Palazzo Merulana a Roma, in una mattina di inizio febbraio che pare primavera. Il candore delle sculture del primo Novecento che ci circondano è una quinta quasi troppo perfetta per il regista, chioma di capelli grigi e pullover girocollo di lana blu. Del resto, non potrebbe essere altrimenti: il luogo dell’appuntamento l’ha scelto lui, uomo di cinema e di successi, abituato a far stare il mondo dentro un’inquadratura.
Il pretesto di questa chiacchierata è offerto dall’uscita della sua ultima opera, una docufiction (come la si chiama oggi, nome bruttissimo che però rende l’idea) dedicata a Gianni Versace, e al suo essere un “imperatore dei sogni” come chiarisce il titolo dell’opera.
«Gianni era un uomo senza limiti. Non l’ho conosciuto di persona, anche se praticamente eravamo vicini di casa – in effetti in Calabria Gianni Versace era una specie di parente di tutti, amato e un po’ odiato, prima un punto di riferimento, poi quello che aveva abbandonato la sua terra. Oltre alle origini condivise però, abbiamo un’altra cosa in comune: anch’io avevo un sarto in casa, mio padre, come lo era la madre di Gianni. Questo, e la mia costante attrazione verso il mondo della moda, mi hanno portato a interessarmi a Versace. Che è stato il vero grande rivoluzionario della moda italiana, sempre un passo avanti, sempre attraversato da questa follia.
Versace era convinto di essere un grande artista, in questo stava la sua genialità. Il suo amore per il balletto, il rapporto con Béjart… Era sempre in mezzo al mondo, sempre a caccia di qualcosa di nuovo. Era una vera e propria icona, e infatti ha avuto anche una morte da artista, da rockstar.»
Una storia che pare nata per il cinema, quella di Gianni Versace. Ma non sarebbe la sola degna di essere raccontata. Eppure, nonostante la moda ami moltissimo il cinema, si direbbe proprio che non sia ricambiata, come fosse un’arte minore. Un problema strettamente intrecciato con un altro, come sottolinea Calopresti: «La borghesia in Italia è raccontata poco, così come la sua imprenditorialità: pensiamo agli Agnelli, ad Olivetti, c’è ancora un certo cattocomunismo che vuole che il denaro sia da fare ma non da dire. Il cinema italiano queste cose le ignora, forse giusto Carlo Vanzina con “Sotto il vestito niente” ha dato voce alla moda. E invece penso che il periodo d’oro degli anni Ottanta, delle top model, sarebbe una storia bellissima. Ma in Italia l’intellettuale ha questa specie di rifiuto per la moda, e gli sceneggiatori non frequentano più i posti che raccontano, parlano di tutto senza sapere niente. In America il racconto è fatto ad alti livelli. Prendi Gay Talese: origini calabresi e famiglia che gestiva una boutique, e lui infatti scrive anche di moda e costume con piglio letterario. E oltre a mancare investimenti a livello di scrittura, mancano anche a livello produttivo. Negli altri Paesi sono più bravi di noi in questo, fanno sistema.»
Insomma, la situazione nel paese che ha originato il marchio più fortunato e riconosciuto nel settore della moda, quel Made in Italy tanto sbandierato, non è rosea, eppure il gusto scorre nel sangue degli italiani, che non di solo cibo si nutrono. Continua infatti Calopresti: «l’italiano medio si veste con attenzione: lo vedi al bar, abbigliato di tutto punto che parla di cose importanti, anche se magari non ha un lavoro e vive alla giornata. L’Italia è meravigliosa per questo: ha paesaggi pazzeschi, tante culture diverse, stili eclettici. Mentre chi produce ci vuole tutti uguali, più facili da controllare. Ecco, Versace non si sarebbe divertito in questa società conformista e dedita al profitto, in cui il digitale appiattisce tutto.»
di Enrica Murru
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