NON CHIAMATELI VECCHI! LE GLORIE DEL ROCK CI FANNO TORNARE GIOVANI

Meglio di qualsiasi lifting, il ritorno delle rockstar fa bene alla pelle e all’umore

OTTOBRE 2024 - SGUARDI

Oasis record signing at the Virgin Megastore, Oxford Street, London ahead of the release of Definitely Maybe. 29th August 1994 - James Boardman / Alamy Foto Stock

Io l’ho fatto e come potevo non farlo? Come non potevo mettere tutti i miei sogni, le mie emozioni e i miei segreti di adolescente, nelle mani di una band? Avevo 14 anni, l’estate in Liguria, le prime cassette registrate in casa con i titoli scritti a mano, i walkman e i testi di tutte le canzoni imparate a memoria.

I CD degli Oasis e degli Smashing Pumpkins ancora troneggiano impolverati, simulacri di culto, in quella che una volta era la cameretta.

“Please don’t put your life in the hands Of a rock ‘n’ roll band Who’ll throw it all away” - Don’t look back in anger, Oasis, 1997
“Please don’t put your life in the hands Of a rock ‘n’ roll band Who’ll throw it all away” - Don’t look back in anger, Oasis, 1997

Il 2022 rivede l’esplosione di Kate Bush nella scena epica di Stranger Things, con un incremento degli ascolti del 9900% sulle piattaforme di ascolto. Io sono andata a correre galvanizzata dai synth Anni ‘80, sentendomi invincibile e fortissima.

 Il 2023 è stato l’anno incredibile che ha segnato il comeback dei Foo Fighters, il 2024 lo ricorderemo per i grandi ritorni: Smashing Pumpkins a Manchester, Stevie Nicks a Londra ad Hyde Park, Bruce Springsteen con un nuovo World Tour, la febbre per il ritorno degli Oasis e il nuovo album Songs from a Lost World dei Cure, attesissimo dopo sedici anni. Il primo singolo “Alone”, è una riflessione sulla solitudine con chiara ispirazione letteraria da ‘Dregs’ di Ernest Dowson. Prima reazione: ho pianto.

Foo Fighters perform at the Quebec Summer Festival 2023 - The Canadian Press / Alamy Foto Stock

In una giornata tersa d’estate di luglio a Londra, mi ritrovo ad Hyde Park tra le fans di Stevie Nicks accompagnate dalle loro figlie, indossavano tutte kimoni vintage e lunghi vestiti neri con le spalle scoperte, gilet con lavorazioni jacquard e stivali con il plateau. A 76 anni, Stevie incarna ancora alla perfezione tutto l’immaginario stilistico degli Anni ‘70: un inno alla magia e al mistero, un’estetica leggendaria fatta di gonne di chiffon e pantaloni a zampa. Quando ascolto i Fleetwood Mac, la prima parola che mi viene in mente è libertà, quella stessa sensazione che associo a capelli al vento, strade infinite, panorami immensi e occhi scintillanti di vita. 

Nel mio immaginario scorrono le immagini della Summer of Love, di Woodstock, delle proteste studentesche a Berkeley contro la guerra in Vietnam, eventi storici che sono diventati sinonimo di controcultura ed espressione creativa. Un’epoca di cambiamento sociale, contestazioni ed energia che nel panorama odierno, dettato da logiche di marketing, omologazione e pesantezza di vivere, facciamo fatica a riconoscere.

Dov’è finita oggi quella forza?

La musica di Stevie Nicks è carica di speranza, di teatralità e di una sensualità lunare; la sua è la storia del potere femminile nel modo ipermaschile del rock.

Melodie nostalgiche e testi poetici che sono un viaggio nell’anima, che raccontano di amori perduti e speranze, titoli evocativi come “Dreams”, “Gypsy”, “Everywhere” in cui il mondo si dissolve e lascia spazio all’emozione pura, tra segreti del passato e promesse del futuro.

Quando a fine agosto siamo stati travolti dalla febbre del ritorno sulle scene degli Oasis, a Barcellona, Parigi e Milano tutti i miei amici si connettevano per interminabili code virtuali, mentre io mentalmente rispolveravo il parka, il cappello da pescatore, gli occhiali da sole stile John Lennon e cantavo a squarciagola Wonderwall. Nessuno di noi è riuscito ad accaparrarsi i biglietti a causa dei prezzi schizzati alle stelle, ma questa ondata di hype Anni ‘90 ci ha pervaso l’animo, e noi millennial come potevamo uscirne indenni? Del resto il mio primo concerto serio è stato quello degli Oasis a Dublino: avevo 16 anni, birra in mano, gazelle e capelli colorati. I testi delle loro canzoni li so tutti a memoria, ancora oggi.

Persa nei ricordi il tempo corre e si avvicina novembre, il 1 per l’esattezza, giorno in cui al Troxy di Londra i Cure presenteranno live in anteprima il loro attesissimo nuovo album con un show intimo per 3000 persone il cui devoluto andrà in beneficenza.

Io, intanto, mi godo le ritrovate atmosfere new wave, i brani melanconici e dolorosi, specchio irresistibile per tutti i fans disorientati da crisi economiche, vuoto di prospettive e dall’esagerato conformismo degli anni Ottanta. Sono passati 40 anni e tutto calza ancora  a pennello.

Ho tirato fuori il chiodo, ho calcato il trucco nero sugli occhi e ballato cantando “there is nothing in the world that I ever wanted more than you feel you deep in my soul”.

Il progetto recupero nostalgico ha smosso in me tutta una serie di emozioni, ricordi profondi e sensazioni intense, e continuo ad esserne inebriata, dopo anni di trap e vuoto siderale. I ritorni mi illuminano come quando sono stata la prima sera da Norah was Drunk, il locale dal fascino decadente e coloniale di Lambrate, e ho esclamato “finalmente un locale a Milano con musica figa”, nel repertorio: gli Smith, gli Spandau Ballet, i Rolling Stones e i Depeche Mode.

In fondo, mentre mi abbandono alla nostalgia grazie ai comeback di band iconiche di decenni passati, mi rendo conto che il mio legame con questi pezzi non si è mai spezzato. E forse non lo farà mai. Perché continua a farmi sentirmi viva: è il mio modo di restare connessa a quella parte di me che non vuole smettere di sognare.

di Francesca Russano