PIANTE QUEER E DOVE TROVARLE

Tra lezioni di botanica queer e piante con i superpoteri

MAGGIO 2024 - SCENT

Immagini ©Gabriel Alejandro

“Le piante sono queer perché sono sgargianti, leggermente esibizioniste, non binarie, dal genere fluido e non sempre riconoscibile, capaci di godersi la vita, aperte alle sperimentazioni, connesse con le stelle, vittime di pregiudizio e di violenza.”

Ulisse Romanò / Demetra

Chi è solito frequentare i parchi cittadini potrebbe essersi imbattuto in loro, un folto gruppo di persone eterogenee che seguono attente una drag queen in abiti sgargianti. In effetti siamo qui apposta per svelare il mistero di questi variopinti inquilini delle bolle verdi delle nostre città. E lo faremo insieme ad Ulisse Romanò, alias Demetra, delle Nina’s Drag Queens, ossia il collettivo dietro la felice trovata della Botanica Queer.

 

E visto che The MRV Magazine indaga la realtà a partire dai cinque sensi più uno, ad Ulisse, a.k.a. Demetra, chiediamo come prima cosa di raccontarci la parte sensoriale dello spettacolo itinerante.

 

I sensi delle piante I sensi delle piante
I sensi delle piante I sensi delle piante

«Portare in giro le persone offre una dimensione estetica e visiva molto forte, ma anche tattile, se pensiamo ai tessuti scelti, rigorosamente non sintetici. La componente olfattiva è quella forse più rappresentata: il percorso viene fatto nel periodo delle fioriture, quindi il profumo è pervasivo. Ad ogni modo, tutto il progetto mira a informare sui sensi delle piante, e sulle differenze con i nostri, quindi a portare l’attenzione sulla considerazione degli organismi nella loro complessità. Le piante profumano per una serie di ragioni: principalmente per comunicare e attirare, sia insetti sia animali che devono impollinare o mangiare i frutti e quindi poi distribuire i semi, quindi i profumi sono uno degli strumenti utilizzati dalle piante per interagire con l’ambiente e con le altre specie. Poi le piante utilizzano anche dei composti volatili, sostanze che viaggiano nell’aria: non sono profumate, quindi noi non le percepiamo, ma servono per comunicare con altre piante o con parti diverse della stessa pianta. Si vede come il comparto olfattivo sia molto sviluppato nel mondo vegetale, ed è fondamentale anche per interagire con noi.»

Fra le prime affermazioni che colpiscono, leggendo la descrizione dello spettacolo, c’è quella che postula che le piante siano queer. E visto che abbiamo davanti l’unica persona in grado di chiarircene il senso, giriamo la domanda.

«Le piante sono queer perché sono sgargianti, leggermente esibizioniste, non binarie, dal genere fluido e non sempre riconoscibile, capaci di godersi la vita, aperte alle sperimentazioni, connesse con le stelle, vittime di pregiudizio e di violenza.

Immagini ©Gabriel Alejandro
Immagini ©Gabriel Alejandro

«Usano i colori e i profumi per attrarre e sedurre, per comunicare, sono leggermente esibizioniste perché introducono elementi di discontinuità quantomeno stagionali nel paesaggio per attirare l’attenzione. I tre quarti delle piante presenti sul pianeta sono ermafrodite o monoiche e il loro genere non è immediatamente percepibile: bisogna aspettare che facciano il fiore, per esempio, per manifestare il loro genere e alcune cambiano genere nel corso della loro vita, come i tassi. Quindi hanno un campionario di possibilità molto ampio, molto oltre la dualità maschile/femminile. Hanno una vita sessuale e riproduttiva molto aperta, ogni pianta ha migliaia di partner, e inoltre nella riproduzione vegetale bisogna sempre essere in tre: una pianta maschio, una femmina e qualcuno che trasporti il polline. I vettori sono di solito insetti, cosiddetti pronubi, ma a volte ci mette lo zampino il vento. Erroneamente le pensiamo prive di caratteristiche come l’intelligenza o i sensi, e invece il discorso è molto più complesso. E nonostante svolgano un compito fondamentale per la vita con la fotosintesi, noi le consideriamo inferiori. In termini di biomassa sono la componente più importante del pianeta, si sono meglio evolute e adattate all’ambiente. Sono connesse con le stelle come le drag lo sono con le star del cinema, del teatro, della letteratura. Le consideriamo alla nostra mercé, pensiamo di poterne disporre e usiamo loro violenza, sfruttandole e indebolendole. Gli alberi in città, le piante che abbiamo sul balcone, sono organismi in cattività, quindi maltrattati. Infine, sia le persone queer che le piante sono realtà marginalizzate a cui non si riconosce piena soggettività.»

 

Quando si vuole criticare la “teoria del gender” si parla soprattutto della presunta “naturalezza” del rapporto tra uomo e donna: chiediamo ad Ulisse di aiutarci a sfatare il mito.

«Occorre allargare il campo: ci sarebbe molto da dire sul termine “naturalità”. La vita si è sviluppata attraverso la modulazione di soluzioni e competenze diverse, non esiste un’unica strada ma svariate, la variabilità è un principio cardine. Quindi sostenere che i rapporti etero siano naturali e quelli omo siano contro natura non ha alcun senso. La sola differenza è culturale e di percezione. Assunti che dobbiamo continuare a mettere in discussione. Utilizzare il termine “naturale” a volte è un escamotage dialettico, serve per dare forza a una visione della realtà ideologica e parziale. Il senso di questo percorso della botanica queer è quello di usare le piante come strumenti per cambiare lo sguardo, la percezione, mettere in discussione alcune delle nostre certezze. E rendersi conto che la discriminazione spesso parte proprio dall’incapacità di relativizzare il proprio punto di vista, mentre la botanica e la biologia sono uno strumento per mettere in discussione il paradigma dogmatico e rendersi conto che la natura è molto più complessa. Le piante forniscono un esempio filosofico, ma portato avanti con soluzioni pratiche: hanno un’organizzazione non gerarchica e cooperativa, sono comunitarie. 

Le piante forniscono un esempio filosofico, ma portato avanti con soluzioni pratiche: hanno un’organizzazione non gerarchica e cooperativa, sono comunitarie. Le piante, come i queer e come tutte le culture marginalizzate, hanno in sé un germe di rivoluzione, di trasformazione dell’esistente, perché vivono sulla loro pelle delle dinamiche di esclusione. E se vogliamo superare queste dinamiche, ha senso osservare l’esperienza degli individui, siano essi piante, queer, disabili, immigrati, che hanno trovato un modo per resistere. Quindi per noi Nina’s ha senso parlare anche e soprattutto alle persone che non sono queer, perché l’importante è raccontare la vita di una fetta rilevante dell’umanità, usando uno strumento, un approccio alla realtà. Che può essere, come in questo caso, la botanica, ma che procede anche per altre vie.» 

di Enrica Murru