COLTE E BRAVE A DISSIMULARE

Le donne guerriere per Adriana Mulassano

febbraio 2024 - Talks

Courtesy Adriana Mulassano

“Da come affronti la vita, la società, il tuo lavoro: da quello si capisce se hai uno spirito guerriero o no. È una questione di pulsioni, ce le hai o no. Di rinunciatarie ne conosco a fagotti. Gente che ha messo via tutto: l’orgoglio, la dignità, la capacità di reagire.”

Adriana Mulassano

Colte e brave a dissimulare. Madri con figli da sfamare oppure vecchie e coriacee. Le donne guerriere per Adriana Mulassano

 

La prima volta che ho visto Adriana Mulassano ero ignorante, come ci si può permettere di esserlo solamente a vent’anni, ed ero praticamente all’oscuro di tutto ciò che la riguardava. Sapevo che era una specie di mito nel mondo della moda e tanto mi bastava.

Va detto che, quando avevo vent’anni, i computer erano macchine usate principalmente per la redazione dei testi e qualche ricerca, i social solo un embrione di quello che sarebbero diventati, e ChatGPT non era nemmeno all’orizzonte.

Facendo finta che anche voi abbiate vent’anni, e che il 2024 non sia quella prateria di possibilità di conoscenze infinite che è, spiegherò in due righe chi è Adriana Mulassano. Per il resto c’è sempre l’Enciclopedia della Moda. O la bella intervista che le fece Antonio Mancinelli per RivistaStudio.

 

La prima cosa da evidenziare parlando di lei, è che “la Mulassano” è la personificazione del concetto di empowerment femminile ante litteram, ossia da prima che questa brutta parola anglofona si insinuasse in ogni discorso sulle donne portato avanti in pubblica piazza. Era, insomma, una che non si faceva mettere all’angolo. Che andava dritta per la propria strada (come se poi ci fosse altro modo di trovare il proprio posto nel mondo) e che, pur di fare solo ciò in cui credeva, lasciò il giornale per cui lavorava, il Corriere della Sera – a cui non garbavano le recensioni “non proprio entusiastiche” di alcune collezioni di sponsor pubblicitari – iniziando così la sua seconda vita: quella di capo ufficio stampa di un astro luminosissimo della moda e del Made in Italy che, anche grazie a lei, sarebbe diventato un’icona, Giorgio Armani.

Dalla cultura viene tutto, non c’è niente da fare. Dalla cultura viene tutto, non c’è niente da fare.
Dalla cultura viene tutto, non c’è niente da fare. Dalla cultura viene tutto, non c’è niente da fare.

Viste le premesse, si capisce come mai Adriana Mulassano sia più che titolata a parlare di donne guerriere. E infatti non se lo fa ripetere due volte.

«Siamo delle vecchie: benissimo, prendiamone atto e cerchiamo di non diventare delle vecchie pesanti. Io ho ancora i giovani che mi vengono a cercare, il che vuol dire che posso ancora parlare di tutto, perché leggo, mi informo, critico, mi incazzo. Io sono viva. Ci vuole una gran forza, quindi per me le donne guerriere sono anche le vecchie, le persone che hanno da fare il passaggio tra la vita e la morte il meno tragico possibile. Perché è un brutto passaggio. Anche la vecchiaia non è bella, perché tu ti ricordi cos’eri prima. Di fisico, di gente che avevi intorno, te morono tutti… e infatti ho smesso di andare ai funerali. Lì sono molto poco guerriera. Perché è inutile, e come dico sempre “già devo andà al mio”.»

Ecco, bastano poche parole per capire che genere di donna sia Adriana Mulassano: una che non la manda a dire, che se ne infischia dell’abusato concetto del politically correct. Una che ha il gusto della boutade, anche.

«Io non è che sono una povera demente che pensa di avere l’eterna giovinezza. Non ce l’ho, ma sono una vecchia attiva. E questo è un traguardo. E per arrivarci devi combatterti. Combattere i fantasmi della vecchiaia. Ma questo anche a vent’anni eh. Sulla correzione delle proprie anomalie, dei propri difetti, del rapporto con gli altri: è tutto una guerra.»

Ed è a questo proposito, quando le chiediamo cosa ne pensi della cosiddetta “società della performance” di cui tanto si parla, che la Mulassano mette ben in chiaro: «Performance è una parola che io detesto, aborro. Tutto quello che è competizione sulle cose di poco conto non è una performance. Per diventare come la Chiara Ferragni e poi finire male per un panettone? Ti porta lì, anche perché il livello culturale è allucinante. Le altre donne guerriere sono quelle che si battono per la cultura. Quando entro da Feltrinelli per cercare un libro e vedo queste cataste di libri di Vespa o della Clerici, sono avvilita. Ecco, le performance ti portano lì.»

Di donne barricadere, che scelgono (male) le loro battaglie solo per conquistare la ribalta social, Adriana non vuol saperne. Se però le chiediamo un identikit della donna guerriera, avvisa: «Non c’è modo di riconoscerle: è la vita che ti fa diventare così. Se hai cominciato fin da giovane ad avere delle mozioni critiche verso la società… Adesso più che altro il difficile è tirare su i figli, quelle son delle vere guerriere. Gente che fa delle vite infami per sfamare i propri figli. Sei milioni di poveri veri. Gente che combatte con molta dignità. Io le vedo nei supermercati, le riconosci subito. Da come affronti la vita, la società, il tuo lavoro: da quello si capisce se hai uno spirito guerriero o no. È una questione di pulsioni, ce le hai o no. Di rinunciatarie ne conosco a fagotti. Gente che ha messo via tutto: l’orgoglio, la dignità, la capacità di reagire.»

Courtesy Adriana Mulassano
Courtesy Adriana Mulassano

Nella moda il panorama è – se possibile – ancora più desolante: «Lì non sono dei guerrieri, son lottatori di bassa lega. Perché essere un guerriero presuppone un livello spirituale di partecipazione, di scopi, di mete. Quelli sono costantemente rosicchiati dall’invidia, fanno dei dibattiti sui social veramente pietosi. La moda è diventata una cosa che non ha più nessun peso… E saranno ormai almeno dieci anni. La creatività non è una cosa che ti inventi. In Italia, America, Francia non c’è più niente di rilevante. E infatti la Miuccia ha lasciato perdere la moda e si dà alla Fondazione Prada.»

 

In un numero a tema corsetti, la domanda d’obbligo è quale sia la divisa della guerriera contemporanea. Niente da fare, esauriti gli Anni ’80, è andata via via scomparendo: «Prima c’era la guerriera glamour di Versace. La guerriera in corriera – o carriera che dir si voglia – di Armani, e quella altolocata di Saint Laurent. Finito. Ora una donna guerriera è meglio che si confonda, non le conviene emergere: con le gogne mediatiche che si susseguono, ci vuole un minuto a essere spazzati via.»

 

E chi volesse intestarsi una battaglia oggi, per Adriana Mulassano che casacca dovrebbe indossare? «Quella della cultura, senza dubbio. Ripristino di una scala di valori culturali. Dalla cultura viene tutto, non c’è niente da fare. Qualunque mestiere tu faccia, se non hai una cultura di base non lo fai bene. Pensaci un attimo. E invece il cinema, la tv, il teatro: ci danno prodotti di basso livello così abbassiamo la guardia. E uno non può diventare guerriero se non ha la guardia alta, perché non ha stimoli, non ha qualcosa da superare.»

 

Stimoli e cultura: è spontaneo pensare alla critica, di moda ma non solo. Il tasto è, a dir poco, dolente: «Gli editori non essendo puri hanno bisogno della pubblicità. E da questo problema derivano tutti gli altri. Io me ne sono andata dal Corriere su due piedi per questo. È la maledizione dei soldi: una cosa di cui dobbiamo ringraziare gli americani e la loro l’idolatria del denaro… È la fine della società. Una società in cui non hai più pulsioni che quella di fare soldi. Non servono le spalle coperte per fare una scelta di questo tipo, per decidere di non vendersi. Piuttosto cambi mestiere. E infatti io ho smesso di fare la giornalista. È una questione di scelte, e, come dico sempre, chi non osa non usa. Ora come vent’anni fa.»

 

Una speranza per il futuro? Adriana Mulassano non ha dubbi: «Un bel giorno questa fase in cui ci troviamo finirà. Il mondo sta cambiando, siamo in un periodo di transizione, di certo pessimo. Stiamo toccando il fondo, l’Occidente diventerà un reperto storico. E l’Africa già si vede all’orizzonte.»

 

 

di Enrica Murru
Courtesy Adriana Mulassano